Dentro e fuori dalla stanza buia

La prima volta che mi è successo ero seduto davanti alla televisione. Sera, circa le dieci e mezza, guardavo un programma di intrattenimento, non ricordo quale, ma bevevo una gassosa, di questo sono sicuro, e d’improvviso tramite una rapida associazione di idee, mi trovo a pensare ad una cosa. Mi succede spesso di trovarmi a riflettere se ho vissuto realmente un episodio, se delle persone mi hanno detto o meno alcune frasi, o dopo aver visto che so uno spettacolo, se all’interno c’era o meno una canzone o una battuta.
Sono stato anche da un dottore, uno psicologo, che mi ha rassicurato sul fatto che non sono pazzo, semplicemente la mia fantasia è molto sviluppata, e il mio rapporto con la realtà non è solidissimo. Questo perché non sono una persona molto attiva, né socialmente, né tantomeno fisicamente. Sono piuttosto un pigro, un riservato, uno che non ha un grande piacere nell’unirsi a gruppi di gente tendenti al divertimento o alla chiacchiera. Lavoro part time nell’azienda dei telefoni, come tecnico riparatore, ed è un lavoro che mi piace, perché la gente mi lascia in pace quando lavoro, e anche perché il pulmino passa a prendermi sotto casa alle sei e mezzo in punto tutti i giorni, così non mi scomodo a prendere la metropolitana piena di gente e di odori sgradevoli.
Il meglio della mia giornata arriva alle tre del pomeriggio, quando il pulmino mi scarica sotto casa, e dopo essermi fermato alla drogheria del signor Fanelli, e aver comprato pane, formaggio di capra e alici sottolio, mi ritiro a vedere i miei programmi televisivi preferiti, e a leggere i quotidiani del giorno prima, che mi vengono cortesemente passati dal signor Carlucci del piano di sotto. E’ talmente gentile che mi fa avere i giornali direttamente sul pianerottolo, senza nemmeno fare sì che io debba chiederli. Mentre leggo e mi informo, mangio i miei cibi preferiti, e mi addormento verso le cinque, per un oretta, fino a che non riprendono i programmi televisivi che mi interessano, dopo la tv dei ragazzi.
Capisco che può sembrare deprimente, ma io guadagno un sacco di soldi in questa maniera. Partecipo a tutti i quiz televisivi telefonici, e visto che sono documentatissimo riesco quasi sempre a sapere le risposte. Questo mi permette di continuare a lavorare part time, anche se la vita è costosa. Il formaggio di capra negli ultimi sei anni è aumentato dell’ottantatre percento ad esempio. Tutto ciò è faticoso.
Comunque, ritornando al motivo della mia preoccupazione, mi è venuta in mente questa cosa, anzi questa persona, l’altra sera mentre bevevo la mia gassosa, ho ricordato una scena d’improvviso, ci sono io seduto in un bar, di quelli con la vetrata grande all’Americana, ed il bancone di noce scuro un po’ alto che ti costringe ad appoggiarti con i gomiti se non sei molto slanciato. C’è il barman, indossa un grembiule crema, tutto macchiato, pulito ma macchiato. Se uno non sapesse che è un barista, potrebbe pensare ad un macellaio, visto che le macchie sono di un rosso scolorito, ma forte, sicuramente succo di pomodoro. Il barman asciuga un bicchiere, con lo straccio, chino verso il bancone, e indossa un cappellino bianco sopra i capelli biondi corti. La luce all’interno del bar è gialla, un po’ malsana perché contagia qualunque oggetto tocchi, prima di stemperarsi nell’ambiente. E’ un posto strano, spoglio senza quadri alle pareti , né tende alle grandi vetrine che si aprono su tutto il locale. Ci sono due grandi contenitori per la birra alla spina, di rame e metallo, quelli che vengono usati per conservarla sotto pressione senza farla svanire.
Nel locale ci sono solo due avventori, io ed una donna dai capelli lunghi, ramati come i contenitori della birra. E’ bellissima, alta con un vestito rosso a maniche corte, ed è seduta su di uno sgabello di legno accanto a me.
In realtà siamo insieme, mi parla e sorride, ed anche il barista ci parla, con discrezione, come se fossimo gli ultimi clienti prima di chiudere il locale. Fuori è notte fonda ed il caffè che fuma dinanzi a noi è il preludio alla notte incipiente. Sono stupefatto dalla bellezza della ragazza, ride e sembra divertirsi un mondo alle cose che dico. Nient’altro. Per quanto mi sforzi non riesce a venirmi in mente altro. Sono sicuro di averla vissuta, ma non ricordo niente. Come se fosse un frammento staccato da qualunque altra storia, una scheggia di ricordo affiorata senza preavviso. E lei, lei è quella che più mi rende nervoso, perché vorrei ricordarla. E impossibile che io abbia conosciuto e dimenticato una donna del genere. Non è proprio possibile. L’immagine si è sovrapposta alla visione del programma televisivo, senza preavviso, come le diapositive si susseguono in una proiezione cadenzata.
Non sono riuscito a ricordare altro di lei, malgrado mi sforzi costantemente. Ho persino tolto il volume alla televisione per concentrarmi meglio, un po’ come faccio quando guardo il quiz in cui si deve indovinare la frase nascosta, ma niente. Eppure sono sicuro che la conosco, perché più mi sforzo e più ho l’impressione che dalla nebbia debba uscire fuori qualche altro episodio che ci riguarda. Non mi ricordo nemmeno come si chiami.

Oggi è una giornata grigia, non troppo fredda, ma l’umidità penetra sotto i vestiti, nelle ossa, senza lasciare scampo. Mi sono lasciato il pigiama sotto la tuta, perché sto lavorando da tre giorni su di una centralina che si trova di fronte ad un grande campo coltivato a cavoli. Le nuvole di nebbiolina volteggiano sopra le piante verdi, come se non se ne volessero andare, anche se qualche raggio di sole prova a fare capolino ogni tanto. Poche persone passano su questo marciapiedi, e ancora meno per fortuna si fermano a guardare cosa sto facendo. Un anziano con il cappotto logoro ed una sciarpa fatta a maglia si immobilizza davanti a me, emettendo nuvole di vapore. Dopo qualche minuto chiede – che c’è che non va? –
Non lo guardo nemmeno, anzi gli giro le spalle, e dico – niente – poi aspetto che si stanchi e se ne vada.
Mi viene in mente qualcos’altro, proprio ora che quasi mi ero scordato e iniziavo a non pensarci più. E’ di nuovo la ragazza dai capelli rossi, alta, bellissima e dai denti bianchi come lo smalto del mio lavandino. E’ seduta sul divano del mio appartamento, sdraiata senza le scarpe, rosse che giacciono ai piedi del divano. Sta sgranocchiando qualcosa, ma non sembra formaggio di capra. Forse Pop corn. Si è proprio il mio appartamento, riconosco il tappeto in terra, e la televisione Sony, un bel modello perché io ci devo lavorare.
Quando mi vengono in mente queste immagini mi fermo, perché non voglio correre il rischio di rovinarmi la concentrazione muovendomi. In questo caso lascio cadere il cacciavite in terra, senza togliere lo sguardo da dove si è posato casualmente, un pacchetto di sigarette nazionali accartocciato in terra vicino alla centralina.
Mi sta’ parlando, la televisione è accesa, ma non su di un quiz. Stiamo guardando cartoni animati, lei ride, e mi carezza una gamba. Io sembro felice. Più di questo non sembra voler venire fuori. Non riesco a ricordarmi come si chiama.
La sera stessa non prendo sonno, perché continuo a sforzarmi su quanto sia impossibile che io abbia dimenticato forse anche volontariamente una donna che mi faceva stare così bene. Nei ricordi sembravo più giovane, ma nemmeno di troppo. Ero già calvo, e forse l’aria ringiovanita derivava dalla felicità del momento. Il problema è che non riesco a concentrarmi sul lavoro, e non sono tempestivo nel prendere la linea telefonica.

Sono andato dal  dottore. Anche se era un po’ di tempo che non prendevo appuntamento si è ricordato subito, e una volta seduto su quella comoda poltrona in pelle mi ha fatto raccontare quello che mi era successo nelle ultime settimane. Dopo qualche convenevole ho raccontato le mie immagini, quelle che mi vengono alla mente da qualche giorno. E la bella rossa con cui ho avuto una relazione non so quando.
Lui è stato molto paziente come al solito, non mi ha mai interrotto, e solo dopo che io avevo finito mi ha posto alcune domande che potrebbero restringere il cerchio riguardo al mio passato con questa donna. Inoltre mi ha chiesto di scrivere i particolari che mi vengono alla mente, e di raccontarglieli quando da ora in poi ci vedremo settimanalmente. Infine mi ha stretto la mano e mi ha detto di essere molto contento di riavermi in terapia. Terapia, a me sembra di andare  a trovare un amico, niente di più.
Tornato a casa ho mangiato formaggio di capra e alici, fino a che per la sete non ho bevuto una intera caraffa di acqua del rubinetto. Poi ho cominciato a girare per casa, così, per vedere se qualche traccia di questa donna misteriosa è rimasta in giro. Ho anche setacciato tutti i volumi dell’enciclopedia Treccani che ho vinto ad un quiz, perché mi ricordo che tra le pagine dei libri ci si trovano sempre fotografie e fiori secchi a segnare le pagine. Poi mi sono stancato e sono andato a dormire, visto che la mattina mi alzo presto.

Finalmente qualche traccia concreta affiora alla mia mente. Ho capito che non debbo sforzarmi troppo, perché più mi concentro e più la mia attenzione si perde in mille altre attività. Oggi sono salito sul pulmino, e mi sono seduto come al solito in fondo, stando attento che i miei colleghi non mi tolgano la coppola dalla testa, come ogni giorno tentano di fare. Quando passo tutti ridono e fanno confusione, questo perché so essere un tipo simpatico se voglio. Ma molto spesso non voglio.
Insomma ero seduto in fondo e guardavo le grosse gocce rigare i vetri appannati, scivolando verso la guarnizione di gomma del finestrino, e di punto in bianco eccoci, seduti ad un tavolo del ristorante io e lei con il calice di vino in mano che ci facciamo fare una foto da uno dei camerieri. In mezzo a noi con aria sorridente un altro cameriere, meridionale, che guarda la camera mentre noi scherziamo. Lei indossa sempre il suo bel vestito rosso, ed io un completo grigio scuro, che in genere uso per le occasioni importanti, per le cene dell’azienda, o la comunione di qualche nipotino. Adesso che mi ricordo credo proprio che stiamo mangiando alla “ nuova margherita “ la pizzeria che si trova vicino alla sede dell’azienda. Lo stesso posto dove vado a mangiare la pizza con i colleghi due volte all’anno. Prima di Natale, e a Luglio prima delle ferie. Una volta quando ho vinto trenta milioni ad un quiz tv, ci ho portato mia sorella a mangiare una pizza. Parecchio tempo fa.
Mi finisce in testa la scena, ma adesso so da che parte cominciare. Esiste un punto di partenza da dove iniziare la sua ricerca. E’ impossibile che i camerieri non si ricordino una bella ragazza simile.
Finito il lavoro mi siedo su di una panchina, a ragionare sul da farsi. Dovrei mettermi in ferie per qualche giorno, nel lavoro del pomeriggio così ho un po’ di tempo per cercarla. Lo posso fare, visto che sono almeno due anni che non prendo un pomeriggio libero per me stesso. Non vorrei quindi che questa storia sia vecchia di due anni. Nello stesso tempo se fosse più recente la dovrei ricordare, senza problemi.

Ho deciso, vado alla “ nuova margherita “, alle sette della sera dovrebbero essere aperti. Sono a casa alle quattro, ma il nervosismo mi attanaglia lo stomaco, mi preparo per uscire un po’ prima per non avere inconvenienti, visto che dovrò prendere la metropolitana per arrivare alla pizzeria. Sarò anche meglio che porti con me un ombrello, se il tempo dovesse mettersi brutto.
La metropolitana puzza. Io lo sento, e non capisco come facciano le persone a stare lì dentro ridendo e parlando tra di loro, con quella puzza tremenda che sale verso il cielo. Certe volte riesco a trattenere il respiro abbastanza da respirare soltanto quattordici volte prima di scendere, ed ho fatto il calcolo che normalmente dovrei respirare circa settanta volte. Un bel risparmio, di tempo e di salute. Forse se mi allenassi un po’ potrei arrivare a dodici volte, ma già ora quando scendo dal vagone sono tutto rosso e mi viene da vomitare.
Finalmente arrivo, esco all’aperto e mi sento molto più tranquillo, anche se il dottore sostiene che la puzza che io sento è una manifestazione della mia claustrofobia ansiosa. Potrebbe anche essere vero, ma io non mi sento ansioso, mi sento semplicemente uno tranquillo, mentre le altre persone si arrabbiano spesso e gridano. Da un po’ di tempo succede spesso anche in televisione, anche se non nei programmi che guardo io. Per me il più bravo di tutti in assoluto è Mike Bongiorno. E’ molto tempo che si trova in tv, ma riesce sempre ad essere bravissimo e non volgare, pensate che non dice mai parolacce e soltanto una volta con la telecamere nascosta lo hanno incastrato che si arrabbiava con la valletta bionda che sembra una gallina. Ma può capitare a chiunque.
La “ nuova margherita “ è già aperta, ma quando entro non c’è nessuno. Mi fermo ad aspettare qualche minuto, visto che spesso è maleducazione disturbare la gente che lavora. Mentre aspetto mi guardo intorno e noto che ci devono essere degli apparecchi telefonici abusivi. Sono state fatte delle derivazioni con la canalina per portare le prese in altri posti. Tutto questo non si può fare, e se lo scopre la compagnia dei telefoni, non ti fa valere la garanzia e le riparazioni gratuite.
Un uomo esce dalla cucina, e mi guarda, poi chiede – Dica? –
– Buonasera, volevo parlare con il cameriere –
– Quale? – fa lui
– Quello con i capelli neri, meridionale – dico io
– Ce ne sono tre, quale dei tre? – dice lui
– Non lo so – gli rispondo
– Bè, comunque non è arrivato nessuno dei tre, quindi le conviene aspettare così lo vede da solo. Arrivano alle sette e mezzo. –
– Va bene. Aspetterò fuori –
– Come vuole – e se ne ritorna in cucina, guardandomi da sopra la spalla destra.
Io nel frattempo me ne esco fuori dal locale, dove stasera sento un po’ di puzza, e mi metto seduto sul muretto di fronte, con le mani appoggiate sul manici dell’ombrello. Intanto osservo la gente che passa. Dopo venti minuti, arrivano  due camerieri, con il cappotto blu dai baveri rialzati, e le scarpe nere lucide che brillano nella brina serale. Entrano in fretta, fumando e quando sono all’interno del locale si dirigono nelle cucine ridendo tra loro. Uno dei due è il cameriere della foto, gli stessi capelli neri, con la gommina pettinata sopra.
– Scusi? – lo fermo quando esce dalla porta, lui mi guarda incuriosito
– Si, dica –
– Non so se si ricorda, io vengo ogni tanto a mangiare la pizza qui, prendo sempre quella con le alici, si ricorda? –
– Veramente no, comunque dica? –
– Noi una volta ci siamo fatti fare una foto insieme, io ed una donna dai capelli rossi, e lei era tra di noi, mentre ci portava la pizza, si ricorda?-
– Non mi sembra, è sicuro? –
– Si, sono sicuro, un altro cameriere ha scattato la foto –
– Ah, allora provi a parlare con Sergio, forse lui se lo ricorda –
– Chi è Sergio? –
– Non è ancora arrivato, sarà qui a minuti –
– Grazie –
Mi siedo in un angolo, trattenendo il respiro, perché c’é parecchia puzza all’interno della pizzeria. Quando arriva Sergio, conto che ho respirato solo quattro volte, ma mi fa male la gola.
– Si, mi sembra di ricordare quella foto – dice – la signora portava un vestito rosso –
– Si, si! – faccio, contento – si ricorda mica se la conosce? –
– Non mi sembra, non ricordo bene qui passa molta gente…-
– Se la dovesse rivedere, se lo potrebbe segnare?. Io proverò a ripassare ogni tanto. E’ importante. –
– Va bene –
– Buonasera –
Torno a casa che è passata l’ora di cena, mi cucino un piatto di spaghetti burro e parmigiano, e siedo davanti alla tv, sperando di avere al più presto qualche notizia.

Non c’è bisogno di ritornare alla “ nuova margherita “, perché oggi ho avuto un altro episodio. Mi sono ricordato ancora un particolare, questa volta decisivo. Siamo in macchina, nella mia vecchia FIAT 127, che però ho mandato a demolire tre anni orsono, per cui la mia storia con questa donna risale ad almeno tre anni fa. Comunque, siamo in macchina parcheggiati in una strada di un quartiere residenziale di questa città, stiamo ridendo, poi lei mi dà un bacio, sulle labbra, ed infine scende. Da fuori mi saluta agitando la mano, e si infila dopo un ultimo saluto in un portoncino di legno scuro, con i vetri colorati all’interno. Io accendo il motore e riparto, dopo avere atteso che la porta si chiuda. Questa volta il ricordo serve a qualcosa. So che lei abita, oppure ha abitato in quel palazzo. La strada aveva dei palazzi bassi sulla destra, e sulla sinistra una grande siepe divisoria, come se ci fosse un unica grande villa da quel lato. Un paletto di segnalazione portava sopra scritto il nome di un importante monumento, così è più facile cercarla.
Sono uscito oggi che è Domenica, così non perdo il lavoro. La Domenica è l’unico giorno in cui non faccio nulla, così recupero le energie. Oggi è una bella giornata, il sole splende, e se rimani seduto per un po’ nello stesso posto ti senti scaldare anche le ossa. Però è sempre meglio portare l’ombrello, non si sa mai. Devo prendere l’autobus per arrivare in quel posto, e forse è meglio che indossi un paio di scarpe comode, per camminare. Se riesco ad utilizzare lo stesso biglietto per due viaggi significa che ci metterò meno di settantacinque minuti. Bene.
L’autobus mi lascia in una grande piazza, dove il sole scintilla sopra ai resti delle antiche civiltà. Una volta ho vinto un ferro da stiro ed una lucida pavimenti rispondendo a domande sulle antiche civiltà. Scomparse però.
La zona che si estende nei dintorni, è sorta su di una collina, quindi le strade non sono piane, ma salgono e scendono senza soluzione di continuità, intrecciandosi l’un l’altra in piccoli viottoli prestigiosi. Qualche macchina della polizia è ferma inquinando l’aria davanti alle abitazioni. Perché tengono il motore sempre acceso? Ho deciso da casa che percorrerò tutte le strade, girando sempre a destra, come in un labirinto, così alla fine le ho viste tutte, e intanto con il pennarello faccio delle righe sul Tuttocittà, per vedere se me ne scappa una. Ogni tanto penso a quale motivo ci sarà stato per avere fatto andare via una bella donna come quella. E la fatica per ritrovarla.

Passa il tempo, credo di avere camminato almeno cinque chilometri. Sono stanco, ma almeno non c’è puzza fuori. Ho anche scritto degli appunti da consegnare al dottore quando vado a trovarlo la prossima settimana. L’ombrello mi aiuta ad appoggiarmi, perché mi fa un po’ male il ginocchio. L’ombrello serve sempre. Devo essere a casa per le cinque perché sono molto rimasto indietro con la lettura dei giornali. Il mio pianerottolo è pieno. Ora sto camminando per un viale un po’ più largo degli altri, ed è come se due fotografie si sovrapponessero. Ecco la siepe che inizia dopo questo grande cancello di bronzo e legno. Cammino, e riconosco anche i cassoni della spazzatura, e sulla destra uno due tre portoni, poi eccolo con i vetri colorati gialli e verdi. Sulla destra il cartello stradale. E’ proprio qui. Sul lato del portone c’è scritto “ Residence Le Begonie “. Mi tiro in basso gli orli del cappotto e delle maniche. Schiarisco la voce, come quando telefono alla tv, e suono al campanello.

– Buonasera – dico, stirando la faccia infreddolita, alla signora apparsa sulla soglia con l’espressione seccata.
– Salve – fa lei con freddezza
– Senta, io sto cercando una donna. Dovrebbe abitare qui. –
– Si ma chi cerca? – continuò lei – dovrebbe dirmi il cognome –
– Non lo ricordo, mi ricordo soltanto che è alta, con i capelli rossi ed indossava spesso un vestito rosso a maniche corte –
– Di questo periodo? – la signora mi guarda con aria stanca
– No, no sono circa tre anni che non la vedo più … – lei fa una smorfia con la faccia e mi interrompe.
– Guardi signore, questo è un residence per un certo tipo di clientela, molto raffinata e riservata. A parte il fatto che nessuno che abbia questi requisiti è da così tanto tempo nostro ospite, lei dovrebbe fornirmi qualche dato in più. Per non disturbare i nostri clienti, sa. Molti risiedono qui proprio per non essere rintracciati, capisce vero? –
– Capisco – dico, sconsolato – grazie lo stesso –
– Aspetti – mi dice mentre mi sto girando per andarmene, – mi dica qualcosa in più, forse posso aiutarla senza compromettere la privacy di nessuno –
A me danno molto fastidio le persone che usano termini stranieri. Io non partecipo mai a quiz televisivi dove ci siano termini stranieri. Ma ora non posso essere scortese, questa donna mi sta aiutando.
– Era una donna alta con i capelli rossi, giovane. Molto allegra e dai denti bianchi come la porcellana – dico – mi sembra che fosse una persona dello spettacolo –
– Forse, ricordo qualcosa di simile, ma non così tanto tempo fa. Abbiamo avuto ospite presso di noi una donna, un attrice mi pare, che corrisponde alla sua descrizione. Ma era quest’estate, una donna con un neo sulla guancia sinistra, ed il naso leggermente pronunciato, importante –
La descrizione della donna aggiunge dei particolari ai miei ricordi. Si ora che me lo dice ricordo che lei aveva un neo, e che scherzando glielo toccavo sempre, facendola scansare infastidita.
– Ma non sta più qui? Non si ricorda il suo nome? –
– No, è stata qui pochi giorni, il nome non posso dirglielo, mi dispiace –
– Non sa dove posso trovarla? –
– Mi dispiace, non lo so. Ora devo andare, buona giornata –
– Grazie –
D’improvviso si è levata una tramontana gelida in questa città fantasma. Sono in piedi, davanti all’uscio di questa residenza, e non so ancora niente di lei. E la cosa è difficile. Come è possibile che lei sia stata nella mia macchina, se questa estate io la macchina non l’avevo più?
Torno a casa, ed è tardi. La casa è scura e seria come me. Alle pareti ci sono delle ombre, ma la carta è più chiara dove ho tolto i quadri, qualche anno fa’. Non ho fame, poi è Domenica e il signor Fanelli è chiuso. Lui apre solo durante le feste di Natale, quando mette sempre un ragazzo marocchino al freddo sul marciapiede a controllare che nessuno rubi i dolci esposti fuori.
Forse mi sta venendo l’influenza, ho camminato molto, e penso che farò un pediluvio.

Il dottore mi ascolta con aria grave, e ogni tanto annuisce. Si è letto tutti i miei appunti, e ha chiesto delle informazioni su alcune parole che non capisce. Ora gli stò dicendo della signora della residenza “ Le Begonie “.
A volte, ma non oggi anche lo studio del mio dottore puzza. Ma non riesco a trattenere il respiro e parlare nello stesso tempo.
Ho finito da due minuti, e attendo in silenzio, senza farmi vedere che ora stò trattenendo il fiato. Il dottore mi guarda in faccia, e si morde dei peli che dai baffi gli arrivano tra le labbra. A volte sembra stupido, in certe espressioni del viso.
– Io credo …- comincia all’improvviso senza darmi modo di prepararmi, fa spesso così quando è preoccupato per me -..credo che la sua situazione stia subendo un involuzione. Probabilmente ciò è dovuto alla sospensione dei farmaci. Io sono del parere che i sei mesi in cui lei ha rinunciato alla terapia non le abbiano giovato. Credo proprio che sia preda di una fissazione che questa volta è correlata a sintomi allucinatori.  –
Io aspetto in silenzio che continui a parlare, perché gli piace molto elaborare teorie astratte sul mio comportamento, come se fossi una persona imprevedibile.
– Se la sentirebbe di riprendere la cura farmaceutica? – mi chiede concludendo il discorso.
– Va bene – gli dico, ma in realtà non ne ho voglia, anche se il breve periodo che le presi non sentivo più la puzza nei posti chiusi.
Il dottore è fatto così, appena lo assecondi si tranquillizza e non ti tormenta con i suoi dubbi. A volte mi ispira tenerezza, perché deve essere una persona piena di problemi e di insicurezze. Se non venissi a trovarlo passerebbe la giornata da solo dentro questo studio con la finestra chiusa. Quando arrivo gli chiedo sempre di aprirla, così entra aria pura.
Dopo che sono andato via getto il foglio di carta con il nome delle medicine che lui vuole che prenda. Non ho mai piacere nel mentire, ma lo faccio per il suo bene, non capirebbe che odio le sue medicine perché hanno dei nomi stranieri.

Sono a casa, al caldo della mia stufa a gas. E’ una stufa molto antica, me l’ha lasciata mia mamma quando è morta. E’ la stessa stufa che ci scaldava nei mesi invernali al paese dove sono nato, vicino a questa città. Per le prossime due ore devo dedicarmi al lavoro, anche se non telefono alla tv. Devo compilare il diario dell’istruzione. Sono rimasto molto indietro, ma adesso ho riordinato il materiale, dividendolo in due blocchi, i quotidiani e le riviste. Prima inizierò ad organizzare i quotidiani, domani o dopodomani passerò alle riviste, che sono meno importanti.
E’ una fase molto importante del mio lavoro, quella in cui mi dedico a selezionare, tagliare ed incollare sul mio diario dell’istruzione tutte le notizie , le fotografie o qualunque cosa io sono sicuro sia importante per l’istruzione dei giovani. Qualcuno deve pur farlo, e credo che alla fine quando non ci sarò più verrà riconosciuto il giusto valore di questo lavoro.
Non capisco però perché quando ne parlo dopo aver telefonato alla tv, mi tagliano sempre la voce in studio.
La televisione è spenta, e nella mia stanza c’è un silenzio assoluto. Ho diviso qualche tempo fa l’appartamento, ed ho affittato le altre stanze, quindi mi è rimasta una bella stanza grande, con il bagno e la cucina. A me non serve di più. Non capisco se quando lei veniva a casa da me, rimaneva anche a dormire, visto che ho un letto piccolo. Mi fa stare molto male, perché non riesco a ricordare niente di più, però mi manca molto. Il ricordo dei momenti felici mi rende triste, perché vorrei riaverla qui con me, con il suo vestito rosso e la sua allegria contagiosa. Chissà dove è adesso.

Piove oggi, il pulmino ci mette molto di più quando piove perché le strade sono bloccate, e le automobili suonano i clacson in continuazione. Devo riparare una linea in un ufficio di assicurazioni, e sono molto nervoso perché c’è una puzza tremenda, e devo attuare il mio sistema per non ascoltare le chiacchiere inutili e pericolose degli impiegati che lavorano in quel posto. A volte uso un metodo che ho visto fare ad un bimbo piccolo con la mamma. Muovo la lingua velocemente in bocca e produco un rumore che non mi fa sentire quello che succede intorno. Però devo stare attento che non mi sentano, altrimenti mi iniziano tutti a guardare e ridere, e questo mi fa mancare il respiro. Questa notte l’ho sognata, e anche se non sono sicuro che possa essere vero, mi ha messo di buon umore. Quando è finito il sogno mi sono svegliato ed ho scritto tutte le cose per il dottore, così se mi va di andarci la settimana prossima gliele dico.
Ho sognato che eravamo su una grande distesa di erba verde e cortissima. C’erano delle piccole buche con le bandierine dentro, e lei era vestita da uomo, con le scarpe da uomo. Teneva in mano un bastone da golf, e io lì vicino a lei, però in tuta le facevo i complimenti per la bontà del suo gioco. E lei rideva.
La mattina quando mi sono svegliato mi sono accorto che ogni volta che penso a lei la mia stanza sembra meno buia. Anche se la luce è spenta.

Finisco il lavoro e torno a casa con il passo un po’ affrettato. Il signor Fanelli ha già preparato il mio pacchetto profumato che promette un meriggio delizioso. Quando siedo sul mio divano di velluto, e rifletto che quello stesso è stato calcato da lei, allora credo che sia bene che vada al circolo del golf, dove in passato siamo stati insieme. E’ un lungo viaggio, reso ancor più faticoso dal cambio di mezzi pubblici che devo effettuare per arrivare al circolo. Mi vesto, un po’ pesante per via della temperatura rigida, e mentre esco alle quattro in punto, prendo un annotazione del fatto che sono rimasto indietro con il diario dell’istruzione. Oggi tocca alle riviste.
Scendo dal torpedone rumoroso, ed è già notte. Quel buio che fa parte della giornata, quando in inverno alle cinque le tenebre tolgono la voglia e l’ardore. Le tenebre proteggono le attività malsane. L’uomo saggio riposa quando le tenebre calano. Potrei citare centinaia di poeti, ma non mi piacciono le citazioni. Le uso solo per la televisione.
Quando suono al campanello, il casotto all’ingresso sembra chiuso. Apro l’ombrello perché sta di nuovo piovendo, e suono la seconda volta, poi la terza. Infine quando sto per andare via una finestra si accende ed un ombra dalla soglia chiede – chi è? –
E’ molto impressionante la scena che ho davanti agli occhi. Nel buio completo una fetta di luce gialla si ritaglia uno spazio sul piazzale di fronte al casotto. L’uomo è solo una figura nera, che si sporge nella luce.
– Buonasera, volevo un informazione –
– Dica? – fa lui senza muoversi dalla posizione
– Su una persona –
– Faccia in fretta però, piove – e si avvicina al grande cancello di metallo dietro il quale lo aspetto. – il club è chiuso a quest’ora d’inverno –
E’ un uomo anziano, con una giacca sportiva di foggia antica, con delle grandi toppe di pelle di daino sui gomiti. I capelli grigi e i baffi argentei lo fanno sembrare Ernesto Calindri, quando in televisione faceva la pubblicità dell’amaro, seduto con il tavolo nel traffico inesistente della città.
– Io volevo sapere se ricorda una donna, deve essere venuta qui a giocare qualche tempo addietro –
– Come si chiama? –
– Non lo so –
– E come faccio io a ricordarla? –
– Posso descriverla –
– A meno che non sia alta quattro metri, o larga cinque credo che sia difficile ricordarsi. Ma lei ha idea di quanta gente è iscritta a questo circolo, poi ci sono gli ospiti…. –
Dei rivoli di pioggia scendono dalle cuspidi del mio ombrello. Ha aumentato l’intensità, e qualche tuono sulle colline vicine preannuncia che non smetterà molto presto. Tornerò a casa.
– Capisco – dico –forse però potrebbe ricordarla, è una donna giovane, alta con i capelli rossi, ed il sorriso splendente che mette allegria. E’ un’attrice. –
– Guardi proprio non mi ricordo, se non le dispiace torno dentro, sa piove …buonasera –
– Buonasera – e mi incammino verso la fermata dell’autobus, stando attento a non essere schizzato dalle macchine che passano a tutta velocità. Nel torpedone osservo la piccola pozza prodotta dal mio ombrello chiuso. Devono abitare migliaia di piccole vite all’interno di una pozza come quella. E probabilmente è anche una vita serena. Come quella delle scimmie di mare che comprai anni addietro su quella rivista. Non ho mai capito come mai fossero chiamate scimmie di mare se sembravano più dei coralli, o lumache. Quanto tempo è passato da quei giorni, mia madre era ancora viva, e le persone parlavano tra di loro senza forzarsi, e io non sentivo la puzza provenire dai luoghi chiusi. E’ così triste dover rinunciare ad una donna così bella, quando sai che non ne avrai un altra. Un altra così allegra, che porti la luce nella mia stanza, anche quando non c’è.

Quando rientro in casa è molto tardi. Io non rientro mai così tardi, scombina tutti i miei orari. Appoggio i miei indumenti bagnati vicino alla stufa a gas, così da poterli asciugare per l’indomani. Per fortuna il pigiama è già caldo visto che lo indosso da questa mattina. Apro il frigorifero, e prendo il vasetto delle alici, ed il formaggio. Poi il pane dal cestino.
Mi fanno male le reni, perché sono stato troppo seduto sul torpedone, ora con calma mi siedo al tavolo, dove la cerata tutta tagliuzzata, è resa appiccicosa dai residui di colla. Ho ancora due ore prima di accendere la televisione per iniziare il lavoro. Finisco il diario dell’istruzione, visto che sono rimasto indietro. E’ rilassante il lavoro di selezione e di ritaglio, ti permette di rileggere la seconda volta le notizie che ti hanno colpito, e di memorizzarle definitivamente. Ora su “ Il Corriere della sera “ leggo che è stata scoperta una nuova cura per i malati di psoriasi. Su ” La Repubblica” che esiste un nuovo balzello sulla casa, su ” Il Tempo” si parla dello scandalo che coinvolge il Presidente degli Stati Uniti, mentre “Il Messaggero ” pubblica un’interessante intervista con il CEO della Walt Disney. Tutto questo è il diario dell’istruzione, la selezione delle cose interessanti che succedono nel mondo. E la cosa che mi fa più pena è che nessuno oltre a me lo tiene, e quando si accorgeranno della sua utilità saranno rimasti indietro di tanti anni, che la sua compilazione sarà impossibile. Il mio sarà l’unico diario dell’istruzione. E i personaggi faranno a gara per essere inseriti all ‘interno.
La candela sul tavolo è quasi del tutto consumata. Ha creato una marea di cera che scendendo ha composto forme barocche da far venire i brividi.
Ho ancora qualche minuto, per cui decido di passare alle riviste, prima di accendere la televisione. Mi imburro un panino e ci appoggio sopra due alici, poi apro ” Gente ” , dove ho apposto il primo segno, qualche settimana prima.
Mi cade il panino dalla mano, facendo un rumore morbido, schifoso quando si spiaccica in terra. La bocca è aperta, mentre leggo ” ..finalmente l’intervista con ………ex Miss Universo, ed ora lanciata nell’olimpo dello star system cinematografico …l’abbiamo incontrata su di un campo da golf, vicino Roma, dove si trova per pubblicizzare il suo primo film…..” scorro velocemente l’articolo, quasi non facendo caso ai lunghi capelli rossi, e al vestito rosso che le fascia il corpo magnifico. Quello che più mi colpisce è questo sorriso accattivante, mentre dice al cronista ” …adoro il gioco del golf….il mio pittore preferito? Edward Hopper…..il mio tempo libero? Ne ho così poco, ma mi piace mangiare pop corn e vedere i cartoni animati in tv…..”, e mentre la luce della candela mi sta abbandonando, riesco ancora a vedere la foto di lei “..che manda un bacio ai suoi ammiratori dalla soglia del riservato residence dove risiede in questi giorni.”

La mia stanza ora è al buio, solo i fari delle macchine lanciano fasci di luce gialla attraverso i vetri delle finestre. Come in un caleidoscopio triste, le gocce di pioggia mi rimandano i brevi lampi, e mi sento un po’ strano, una sensazione di disagio che mi percorre tutto il corpo. Subito dopo torno in cucina e imburro un panino, e ci metto delle alici su. Dov’ero rimasto?.già è ora che mi dedichi un po’ al diario dell’istruzione, devo andare a letto perché domani mi sveglio presto. Io lavoro part time nell’azienda dei telefoni.

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